Che uno sia ateo o credente, Papa Francesco ha saputo incarnare come pochi il valore profondo dei gesti semplici: un abbraccio, una carezza, uno sguardo colmo di empatia. Fin dai primi momenti del suo pontificato, si è distinto per uno stile diretto, umile, radicalmente umano. Non servono grandi discorsi per trasmettere il Vangelo, sembra volerci ancora dire in ciò che ha lasciato, ma piccoli segni quotidiani, comprensibili a tutti e potenti nel loro silenzio. Anche per chi non è poi così in linea con un pensiero da credente.
In un mondo affollato da parole, Papa Francesco ha scelto il linguaggio universale dei gesti
Ha saputo amplificare questa scelta anche attraverso i social e la tecnologia, strumenti che ha abbracciato con intelligenza pastorale e umana.
Quando nel 2013 si è affacciato per la prima volta dalla Loggia centrale di San Pietro, chiedendo al popolo di pregare per lui prima ancora di impartire la benedizione, è stato subito chiaro che qualcosa stava cambiando. Non era solo una questione di stile: era un’inversione di prospettiva.
Papa Francesco si metteva al livello delle persone, non sopra. Si presentava come un pastore vicino, non come un’autorità distante. Questo approccio si è consolidato negli anni, attraverso una presenza costante tra la gente: nelle periferie del mondo, tra i carcerati, nelle case dei poveri, negli ospedali. Ogni volta, con un gesto semplice: una mano tesa, un abbraccio a un malato, un sorriso a un bambino.
Ciò che rende ancora più unico il pontificato del Papa è la sua capacità di portare questa prossimità anche nel mondo digitale
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare per un uomo della sua generazione, non ha mai rifiutato la tecnologia: l’ha usata con misura, ma con piena consapevolezza del suo potenziale. I suoi profili social, a partire da Twitter (@Pontifex) fino a Instagram, sono diventati strumenti di evangelizzazione autentica. Non per moltiplicare slogan o conquistare follower, ma per diffondere parole di pace, immagini di fraternità, riflessioni semplici e profonde, capaci di toccare il cuore.
Un esempio emblematico è il suo uso delle immagini su Instagram: fotografie che raccontano gesti concreti, spesso senza bisogno di didascalie. La carezza a un uomo sfigurato, l’abbraccio a un detenuto, il silenzio pregato a Lampedusa davanti al mare dei migranti. Ogni immagine racconta una storia e trasmette un messaggio etico e spirituale, accessibile anche a chi non professa la fede cattolica.
Papa Francesco ci ha mostrato che la comunicazione vera non è questione di retorica, ma di autenticità. Anche i suoi discorsi, spesso improvvisati, sono permeati da questo stile: parla come un padre o un nonno, usando parole semplici, esempi concreti, umorismo. E nei momenti più solenni non ha mai rinunciato alla spontaneità di un gesto fuori protocollo, come scendere dalla papamobile per salutare una persona in carrozzina o regalare un panino a chi ha fame.
Durante l’intenzione di preghiera di questo aprile, prima del suo ricovero in ospedale ha detto:
“Guardare meno gli schermi e guardarsi di più negli occhi, per scoprire ciò che conta davvero: siamo fratelli, sorelle, figli dello stesso Padre. Se trascorriamo più tempo con il cellulare che con le persone, qualcosa non va… lo schermo ci fa dimenticare che dietro ci sono persone reali che respirano, ridono e piangono”.
Se è vero che la tecnologia è frutto dell’intelligenza che Dio ci ha donato, bisogna però usarla bene; non può avvantaggiare solo alcuni, mentre altri restano esclusi. La tecnologia va usata per unire, non per dividere. Per aiutare i poveri. Per migliorare la vita dei malati e delle persone diversamente abili e per prenderci cura della nostra casa comune. Per incontrarci come fratelli”.
Anche nei video pubblicati sui social, nei suoi interventi trasmessi in streaming, Papa Francesco non perde mai quel tocco personale che lo distingue. Anche dietro uno schermo, riesce a far sentire la sua presenza viva, vera. Parla con il tono pacato e coinvolgente del pastore che conosce le sue pecore. I suoi discorsi non sono mai freddi o istituzionali: anche nel mezzo tecnologico, il Papa rimane se stesso, autentico.

Chi non ricorda il momento emblematico della fusione tra gesto e tecnologia durante la pandemia? Isolato in una piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia, ha pregato per il mondo intero. Quel silenzio, quella solitudine trasmessa in diretta globale, sono diventati simboli potenti. Nessuna folla, nessun contatto diretto, ma un gesto che ha toccato milioni di persone, anche chi non fa della Chiesa la sua seconda dimora. La sua presenza silenziosa, il suo volto segnato dalla preghiera, hanno detto molto più di mille parole.
Il suo insegnamento, dunque, è anche una rivoluzione comunicativa
In un’epoca in cui l’immagine è tutto, Papa Francesco restituisce all’immagine il suo valore più alto: quello di veicolo della verità. In un tempo in cui i social rischiano di creare distanze, li utilizza per ridurle. In un contesto in cui la presenza fisica si rarefà, lui insiste sul corpo: sul tocco, sull’abbraccio, sullo sguardo.
La vera presenza non è solo fisica, ma interiore, totale. E può viaggiare anche attraverso uno schermo, purché sia autentica. La tecnologia, quindi, non è un nemico della spiritualità, ma un mezzo da umanizzare. Un mezzo da poter e dover usare bene, che ha ancora delle potenzialità enormi, in cui crediamo fermamente.